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Copywriting inclusivo: 5 motivi sul perché non funziona e cosa fare

Il copywriting inclusivo è una tecnica di copywriting sempre più apprezzata nel mondo della comunicazione.

Ma funziona davvero? La realtà è che questa metodologia raramente porta risultati.

Perché? Perché una campagna di marketing efficace non include, anzi, esclude le persone che non sono in target.

Una campagna che cerca di parlare a tutti, finisce per non parlare a nessuno.

Il risultato di questa strategia è chiaro: pochi clic, meno conversioni, e nessun impatto reale sulle vendite.

In questo articolo ti spiegherò perché il copywriting inclusivo non funziona e come un approccio più focalizzato può trasformare i tuoi risultati.

Perché il copywriting inclusivo non funziona

Il copywriting inclusivo fallisce per ragioni fondamentali legate alla natura stessa del marketing.

Anche se il termine suona positivo e progressista, nella pratica è una strategia che diluisce il messaggio, diminuisce l’impatto delle campagne e riduce drasticamente le conversioni. Vediamo perché.

1. Il Paradosso dell’inclusività: parlare a tutti significa non parlare a nessuno

Un principio chiave del marketing è identificare un target specifico e creare un messaggio che parli direttamente ai suoi desideri e bisogni.

Il copywriting inclusivo si scontra con questa realtà, cercando di includere tutti, e fallisce perché non è possibile costruire una connessione profonda con chiunque.

Esempio: quando un’azienda di fitness utilizza modelle fuori forma (o plus size) per promuovere prodotti legati alla salute e al benessere fisico, il messaggio perde coerenza.

Il pubblico target – persone che vogliono migliorare la propria forma fisica – potrebbe percepire la campagna come contraddittoria rispetto ai loro obiettivi.

Un frontman che dovrebbe essere fonte di ispirazione finisce per confondere o, peggio, scoraggiare.

2. Quando manca la componente ispirazionale, manca la vendita: il caso Victoria’s Secret

copywriting inclusivo victoria secrets
Victoria Secrets prima e ora. “OK, tieniti i tuoi segreti…”

Un esempio emblematico è Victoria’s Secret.

Per anni, il brand ha costruito un’identità forte intorno alle “Angels”, modelle famose per la loro bellezza iconica e i fisici scolpiti.

Le campagne non vendevano solo lingerie, ma un sogno: sentirsi belle e desiderabili come loro.

Nel tentativo di abbracciare l’inclusività, Victoria’s Secret ha sostituito le “Angels” con modelle plus size e rappresentative di diversi canoni estetici.

L’intento era quello di riflettere una bellezza più inclusiva.

Ma il risultato è stato un drastico calo delle vendite e del fatturato.

Perché?

Perché il pubblico principale del brand erano donne che acquistavano lingerie per sentirsi belle e fighe come le “Angels”.

E con le modelle over-size non si è più identificato nei nuovi canoni di bellezza proposti.

Mancava l’elemento ispirazionale, quello che spinge le persone a immaginarsi trasformate dal prodotto che acquistano.

Questo cambio di direzione ha alienato il target principale, compromettendo il posizionamento e le performance del marchio.

3. Le persone vogliono qualcosa in cui possono identificarsi

Le persone dicono di apprezzare l’inclusività, ma i loro comportamenti d’acquisto raccontano un’altra storia.

La maggior parte cerca prodotti e servizi che riflettano le loro aspirazioni personali.

Le persone non cercano rappresentazioni universali, ma vogliono prodotti e messaggi che rispecchino ciò che desiderano diventare.

Se un brand non riesce a trasmettere un’immagine aspirazionale, il pubblico non sarà motivato a fare il passo successivo: acquistare.

Questo è esattamente ciò che è accaduto a Victoria’s Secret e ad altri brand che hanno tentato di essere “inclusivi” sacrificando l’ispirazione.

4. Un messaggio debole non spinge all’azione

Le campagne con un copywriting inclusivo, per loro natura, tendono a evitare messaggi troppo diretti o forti per non risultare “aggressive”.

Ma è proprio questa morbidezza a renderle inefficaci.

Una campagna di fitness con un messaggio del tipo “Accettati come sei” può essere emotivamente piacevole, ma non spinge all’azione.

Al contrario, un messaggio come “Diventa la versione migliore di te stesso in 30 giorni” è molto più motivante e crea un’urgenza di miglioramento.

5. Il caso Netflix: un dietrofront strategico

Netflix ha affrontato un problema simile nel 2022, quando ha perso 200.000 iscritti dopo aver cercato di abbracciare una narrativa troppo inclusiva.

La risposta è stata chiara: l’azienda ha avvisato i propri dipendenti che avrebbero dovuto accettare la creazione di contenuti potenzialmente “offensivi” per alcuni, perché il pubblico richiede prodotti coerenti e mirati, non ideologie astratte.

Il copywriting che funziona: cosa conta davvero?

A differenza del copywriting inclusivo, il marketing a risposta diretta si basa su un principio semplice: parlare a un target specifico con un messaggio specifico e un’offerta specifica.

Questo significa escludere tutto ciò che non è rilevante.

Ecco come applicarlo:

1. Identifica il tuo pubblico ideale.
Definisci esattamente chi è il tuo cliente tipo. Età, interessi, problemi e aspirazioni. Più il tuo target è specifico, più il tuo copy sarà efficace.

2. Scrivi per risolvere un problema.
Concentrati sui bisogni specifici del tuo pubblico. Esempio: “Questo prodotto ti farà risparmiare 10 ore alla settimana” è molto più potente di “Perfetto per tutti”.

3. Usa un linguaggio diretto e coraggioso.
Non aver paura di escludere. Quando scrivi, pensa sempre: “Questa frase parla al mio target?” Se la risposta è no, tagliala.

Conclusione: il marketing vincente non è per tutti

Il copywriting inclusivo è un’idea teoricamente attraente ma, nella pratica, fallimentare.

Un marketing efficace si basa sull’esclusione, perché il tuo messaggio deve colpire chi conta davvero per il tuo business.

Netflix e Victoria’s Secrets hanno capito questa lezione e hanno scelto di concentrarsi sui gusti del pubblico, non su un’agenda di inclusività universale.

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